E n io  W e b   P a g e

 VENERDI SANTO

 

SAN GIUSTINO

 

CHIETI

 

CELANO

 

CELANO CASTELLO

 

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CHIETI  FOTO

 

CIVITELLA  FOTO

 

SAN GABRIELE

 

 
LA CATTEDRALE DI CHIETI, SAN GIUSTINO

Chiesa superiore

 

 

Vasta e di proporzioni armoniose, a stento cela, sotto una nobile veste classicistista, l’antica struttura medievale che l’avvicina alle cattedrali di Valva, di Sulmona e all’abbazia di San Giovanni in Venere. Essa è divisa in tre navate, quasi a metà della loro lunghezza partite da scenografiche scalee che portano ad un’alta tribuna; la nave maggiore ha la stessa altezza del transetto, senza sporgenze laterali, con cupola ottagonale a lati disuguali sull’incrocio, secondo lo schema delle cattedrali romaniche abruzzesi. La copertura della navata centrale è a botte lunettata, mentre quella delle navate laterali è a calotta. Alcuni dati curiosi ci confermano la vastità dell’edificio: dal vestibolo al presbiterio esso misura metri 58; la larghezza della navata maggiore è di circa metri 28, quella delle laterali è di circa metri 11. Nella cappella del Sacramento, restaurata compiutamente nel 1881 da mons. Ruffo Scilla, è in stile neorinascimento e custodisce una tela del 1890 eseguita dal pittore romano Grandi. A mano destra, in una piccola esedra, sormontata da un olio

 

 

settecentesco di scuola napoletana raffigurante il Battesimo di Gesù, è collocato il monumentale fonte in porfido fatto eseguire nel 1599 dall’arcivescovo Matteo Saminiato, scolpito in forma di coppa dallo stelo tornito e con la vasca intagliata a grossi ovoli. Sui lati sono incisi gli stemmi della città, del committente e del parroco della cattedrale. Nel segretariato, a sinistra dell’ingresso, è collocato un coro ligneo del 1700 finemente intagliato da maestranze abruzzesi e si ammirano due grandi teleri di Saverio Persico raffiguranti la Cena di Betania e l’Ultima Cena. Il pulpito e i confessionali, eseguiti dal Bencivenga, furono realizzati su commissione dell’arcivescovo de Palma, come le porte "à la chinoise", e il leggiadro armadio della sagrestia. Notevole il patrimonio di questa cattedrale, nella quale spiccano un’Adorazione dei Magi del 1500 di scuola fiamminga, la neoclassica Natività del pittore teatino Nicola de Laurentis, la pala di San Gaetano dipinta nel 1738 da Ludovico de Majo e la pala dell’Immacolata del Persico, il quale in questo anno, 1759, ha dipinto forse anche l’Incredulità di San Tommaso, posta dietro l’altare maggiore. Di grande pregio artistico, infine, appaiono, la Mater Populi Teatini, statua lignea del rinascimento; e il paliotto dell’altare maggiore scolpito nel 1769 da Giuseppe Sammartino.

 


Cripta


Questa costruzione presenta caratteri di grande originalità e non trova riscontri in nessun altro monumento abruzzese per quanto concerne le dimensioni. Eretta da maestranze vicine alla scuola di San Liberatore, occupa tutto il transetto con abside e con trabside. La pianta, alquanto irregolare, si articola in piccole navate di una campata ciascuna. Interamente costruita in laterizio, riserva la pietra esclusivamente ai capitelli e ai pilieri a fascio. La sistemazione attuale risale al secolo XIV, al tempo cioè della costruzione della torre campanaria, come è provato dagli affreschi riemersi nel corso degli ultimi lavori di restauro. Come nella chiesa superiore, anche in questa parte della cattedrale non mancano opere d’arte di grande rilievo. Prima fra tutte va ricordata l’arca marmorea che il vescovo Marino di Tocco fece scolpire nel 1432 per riporvi le reliquie di San Giustino, primo vescovo teatino e patrono della città.

Quindi il Crocifisso di Niccolò Teutonico del 1485 e

 

 

gli affreschi raffiguranti una Deposizione e un drammatico Crocifisso, un tempo sulle pareti di questa cripta e poi strappati nell’ottocento nel corso dell’ammodernamento voluto da mons. Ruffo Scilla. Adiacente alla cripta, infine, si apre la cappella del Sacro Monte dei Morti, decorata con rutilanti stucchi dorati applicati nel 1711 da G. B. Gianni, architetto lombardo attivo in Chieti nel secolo XVIII.


Torre campanaria


Opera di Bartolomeo di Giacomo, come si legge in una targa marmorea apposta all’interno del primo piano della costruzione, fu innalzata nel 1335, quasi contemporaneamente al rifacimento generale della chiesa, a quanto si deduce dalle affinità stilistiche che si riscontrano tra questo manufatto e quanto resta delle più antiche absidiole. Essa è a base quadrata e divisa orizzontalmente in quattro parti. La parte superiore, la cella campanaria con il tempietto ottagonale, è opera di Antonio da Lodi che la innalzò nel 1498 a simiglianza dei coronamenti realizzati in molti campanili abruzzesi. La fine decorazione ad archetti e ovoli in laterizio, con scodelle maiolicate, richiama la coeva torre arcivescovile (eretta nel 1470) e l’elegante chiesa a pianta ottagonale del Tricalle. Il campanile è esattamente orientato e misura 9 metri per lato, mentre dalla base al coronamento è di metri 46, più metri 9 della cuspide piramidale ricostruita negli anni trenta da Guido Cirilli in sostituzione di quella crollata nel terremoto del 1703. Il dado basamentale è rivestito con conci di pietra calcarea, grezza per metà e squadrata nella parte superiore. Il primo ordine nel quale si apre una profonda monofora

 

 

verso la piazza è rivestita di pietra pulita. Nel secondo ordine, a mattoncini rifiniti come tutti i restanti, si aprono due bifore, rispettivamente rivolte a sud e a nord, e inserite in un arco ogivale con una coppia di colonnine disposte sul piano mediano. Il terzo ordine, diviso dal precedente da una cornice marcapiano con raffinati archetti trilobati che ritroviamo nelle antiche absidi, è aperta su tutti e quattro i lati per mezzo di bifore simili alle precedenti, ma più alte e con colonnine binate disposte sui piani perimetrali. La finestra che si apre a levante è ornata da un archivolto a punta di diamante di ricercata eleganza, elemento che si ritrova su una finestra del vico Semprevivo e su una apertura ellittica della torre dei Toppi. La cella campanaria, stretta tra lisce paraste, è di stile sobrio e armonioso con quattro alte monofore e termina con un prisma ottagonale segnato da profondi nicchioni, coronato da un motivo ornamentale ad archetti ciechi. Agli angoli, solidi pinnacoli poggiano su un cornicione classico che si sviluppa attraverso un minuto dentello, grandi ovoli e gola dritta, identico al cornicione del Tricalle. L’orologio, un tempo sul fianco della chiesa, sopra un portico crollato nel secolo XVIII, fu collocato sulla torre nel 1752, per volontà del Camerlengo Paini.

 

  

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