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Unterveger: obiettivo
puntato sull'anima del paesaggio alpino
LA
STORIA IN IMMAGINI
Le radici, il senso di appartenenza ad un luogo, ad un contesto
antropologico, si può provarlo, o rinnovarlo, attraverso una fotografia. Parrebbe di sì guardando le cento lastre al collodio eseguite tra il 1862 e
il 1885 da Giovanni Battista Unterveger (1862-1885) e ora depositate al
Servizio Beni Culturali di Trento. Paesi, valli, montagne, persone. Questi i
soggetti privilegiati del grande fotografo trentino. Opere che da oggi sono
esposte a Palazzo Tambosi di via San Marco a Trento, grazie all'opera di
raccolta e catalogazione di Floriano Menapace, che è anche il curatore dei
testi allegati alle cento fotografie in mostra. L'inaugurazione è alle ore
18.30. di Fiorenzo Degasperi
La produzione dell'artista è stata smisurata, grazie ad un puntuale
apprendistato con il fotografo ambulante prussiano Ferdinand Brosy, dal
quale imparò, macchina in spalla, ad entrare direttamente nella realtà
frequentando fiere, mercati, sagre dei paesi trentini, anche in quelli più
sperduti. Purtroppo il 20 maggio 1915, pochi giorni prima dell'inizio delle
ostilità tra Italia e Austria, i gendarmi, prima di arrestarlo con l'accusa
di attività irredentistiche, distrussero migliaia di lastre fotografiche
realizzate in sessant'anni di lavoro. Cento se ne sono salvate. E cento sono
quelle in mostra da oggi a Palazzo Tambosi di via San Marco 27.
Una mostra nata all'interno delle Giornate Europee del Patrimonio,
programmate per il 28-29 settembre 2002, e organizzata dal Consiglio d'Europa e
dal Ministero dei Beni e le Attività Culturali con la collaborazione, per
il Trentino, della Provincia. Il tema di quest'anno è "Frequentando il
passato: luoghi, cose, segni" con lo scopo di creare nei cittadini
europei una percezione di appartenenza a comuni radici culturali. Le opere
di Giovanni Battista Unterveger sono le più appropriate. Innanzitutto perché
racconta un Trentino che non c'è più e poi perché possono servire come
punto di riferimento e parametro per capire quanto della nostra terra è
stato distrutto attraverso la speculazione materiale e spirituale. La
fotografia, per quanto soggettiva essa sia, rimane un flash sul contingente
che non può essere superato né dalla parola né dall'immagine dipinta. Lui
ha calpestato per anni la terra trentina, fermandosi a catturare, ad
"imprigionare" nel tempo e nello spazio una muta testimonianza di
usi e costumi, di speranze e disillusioni, di grandi imprese alpinistiche
nell'età d'oro. La richiesta di immagini della montagna trentina da parte
di esploratori e alpinisti lo convincono, dal 1870, a fotografare
metodicamente le Dolomiti, i ghiacciai del Gruppo Adamello-Presanella. Già
questa è una muta ma stimolante testimonianza di una montagna che
presentava il suo aspetto selvaggio, dove l'individuo poteva misurarsi ad
armi pari. E poteva anche perdersi, perire. Passa per i paesi, si sofferma a
riprendere i monumenti, le chiese, le case. Uno spaccato di vita, una
testimonianza della storia architettonica, laica e sacra, di un Trentino che
non conosceva i balconi alla tirolese e neppure le decorazioni delle case se
non le icone della Madonna o dei Santi ausiliatori. Non sicuramente la
scimmiottatura nordica di affreschi, fiori e campanelle. Proprio di fronte a
queste fotografie Aldo Gorfer, quasi una ventina di anni fa, piegava il capo
e sussurrava come poteva la gente trentina svendere così il loro patrimonio
culturale, essenziale, profondo, ricchissimo di esperienze. Se si tratta di
trovare l'identità di una terra che contiene in sé, sociologicamente ed
artisticamente, le differenze più evidenti tra nord e sud, est e ovest e le
trasforma in ricchezza allora questa mostra, aperta fino al 25 ottobre 2002,
è quella giusta. Per capire.
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