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12 Agosto 2003
Esistono cupe leggende intorno a questo
Castello e la più famosa è quella legata al nome del barone Corvo de
Corvis.In questo caso la leggenda si unisce indissolubilmente alla storia e
non si sa dove finisce l'una e inizia l'altra.Alla fine del 1500 il feudo di
Roccascalegna fu acquistato dal barone Vincenzo Corvi di Sulmona per 10.000
ducati. A Vincenzo successe Annibale nella prima metà del 1600 e pare che
questi avesse come nomignolo "Corvo", perchè imponeva agli abitanti di
Roccascalegna di adorare un corvo nero come la notte e come l'inferno e con
gli occhi rossi e fiammeggianti. Allora Roccascalegna si chiamava Rocca
Scalegna perchè i suoi abitanti accedevano alle loro abitazioni tramite
scale di legno, finché delle formiche giganti non distrussero le scale e il
paese intero, ma questa è un'altra leggenda nata ai piedi del Castello. Dopo
Annibale vi fu Giovanni Battista, quindi Battista Annibale ed infine Pompeo
l'ultimo della dinastia Corvi feudatari di Roccascalegna. Il feudo di
Roccascalegna fu nelle mani dei Corvi ininterrottamente dal 1599 fino al
1717. Ma facciamo un passo indietro e torniamo ad Annibale detto "Corvo
de Corvis"; come abbiamo detto egli impose ai suoi sudditi di
genuflettersi al suo corvo, ogni volta che passavano sotto le mura del
Castello. Comunque non fu la sola sopraffazione che Corvo impose ai suoi
poveri vassalli. Nel 1646, per esempio, applicò lo "ius primae noctis",
che in un primo tempo si trattava solo di un balzello, ma successivamente
questa legge fu applicata alla lettera e cioè la prima notte di nozze le
giovani spose dovevano giacere con il barone. Se una di queste non risultava
vergine veniva buttata nelle segrete dove vi erano delle spade acuminate che
dilaniavano i corpi delle povere sventurate. E' notorio che i baroni
nominassero anche il clero e così non era raro che questi avvallassero
qualsiasi cosa i baroni facevano, ma davanti a tutte queste angherie il
parroco dell'epoca, scomunicò il barone e per non incorrere nell'ira del
nobile fu costretto a fuggire. Purtroppo gli sgherri del barone lo
raggiunsero e lo trucidarono. Anche un altro prete, in un'epoca diversa, si
ribellò al giogo baronale e questi lo fece ammazzare sulla quarta colonna
della navata destra della Chiesa di San Pietro. Dopo un anno di soprusi e
vessazioni varie, gli abitanti di Roccascalegna decisero di uccidere il
barone Corvo e così un uomo, travestito da donna o una donna stessa, lo
accoltellò con un colpo secco al cuore. Il barone quarantacinquenne si pose
la mano sulla ferita e maledisse il suo assassino. Prima di morire, però,
pose la sua mano insanguinata sul muro vicino al suo talamo, dove la
tradizione vuole che essa vi sia ancora. Il corvo perì come il suo padrone
sotto la furia omicida dell'assassino. Il figlio del barone in preda al
dolore voleva distruggere il paese ma l'abate di San Pancrazio lo indusse a
più miti consigli. Si sussurra che quando imperversa una tempesta di neve lo
spettro del barone passeggi sopra le mura delle torretta ridendo e
maledicendo la sua sorte. Si narra, anche, che si sentano strani lamenti
provenire dalle segrete del Castello e che inoltre, all'imbrunire, si scorga
la nera sagoma di un uccello, forse un corvo, volare intorno al palazzo e
alla Chiesa di San Pietro. Queste sono leggende nate all'ombra del Castello
e come tali racchiudono un fondo di verità. Il barone Corvo de Corvis non è,
ovviamente, Annibale Corvi, ma è un personaggio inventato che la fantasia
popolare ha voluto identificare in un nobile che visse in linea di massima
nello stesso periodo del personaggio storico, una sorta di alter ego del
nobile in questione
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